( Baj tra Laerte e Gertrude; ai suoi piedi Ofelia)
Chi è di scena di Massimo José Monaco
Caro Enrico,
ecco la mia visione
Tutto nero. Un fondale frammentato di specchi. Al centro una scala a
struttura piramidale ornata di specchi deformanti. La scala ruota di
360° mostrando tre diverse facce al pubblico. I gradini della piramide
sono botole, tombe, sarcofaghi, passaggi segreti. Ombre nere, sagome,
sono dislocate sulla scena. Sul fondo la grande tela del "manichino
marciante". I costumi neri, e i volti coperti da maschere schermanti,
trasformano anche gli attori in manichini.
Un sipario bianco con il
"gigante Ubu"
copre l'intera scena. Alla base del sipario alcuni tagli fanno fuori
uscire gambe, braccia e teste degli attori.
La tragedia è iniziata.
Entra
Amleto. Il sipario si agita
escono mani con pugnali
,
diventa il fantasma del padre e le mani mostrano il suo assassinio,
Amleto guarda. Lentamente il sipario cala in terra e viene assorbito da
uno scalino tomba della scala. Amleto fruga nella tomba.
La scena è ora invasa dalle sagome dei personaggi.
Sul fondo varie ombre-sagome continuano a scorrere da un lato all'altro...
Massimo
Inizia
così la corrispondenza con Baj e Almansi che mi porterà alla
realizzazione di un Amleto Lunatico faticoso, invadente e molto
discusso.
Quelli che seguono, sono solo dei frammenti degli scritti-riflessione di chi prese parte all'impresa.
I documenti, furono pubblicati in un libro
ormai
esaurito, edito da UBUlibri editore.
(nello studio di Baj)
Amleto in pittura di Enrico Baj
Dunque in maggio venne da me il Monaco. Io ci avevo fatto con lui un
Pinocchio e ora, mi dice, Amleto. Dopo 'sta storia banalotta del naso
che s'allunga come un cazzo, la tragedia ci vuole.
D'accordo gli dissi ti faccio tutto, cioè quel che mi compete, id est,
ad pri pro quo' eludendum, ti faccio la scena, l'invenzione, cioè il
visual et il mirabile: e che i personaggi siano piatte sagome di legno,
come quelle dell'Apocalisse, ricoperte di ovatta e carte peste e
pastellate per far vibrare quella loro pellaccia squamosa e
coccodrillesca.
Ed
il Monaco Massimo si e' messo a segare, impiallicciare, limare, inchiodare ed io a ricoprire di Panda oil pastel.
Massimo dice: il disegno e la follia di Amleto, l'essere e il non
essere ch'altro sono se non la ragione dell'Io e del suo doppio.
Ti voglio -dico io- veder recitare, sfacciatamente, quel bel
essere o non essere, che' ormai impossibile da dire."Allora cambiamo, tutto deve essere cambiato".
S'è fatto un gran lavoro, s'è discusso, s'è litigato. Poi per maritare
sempre più teatro e pittura, tiro fuori una gran tela con su dipinti,
l'un dopo l'altro, i miei cari manichini marcianti in movimento, che
sembrano chiamare in scena Muybridge, Duchamp e il suo nudo che scende
le scale...
E' fatta, c'e' l'Amleto, i manichini e il firmamento. C'e' Satie, Ofelia, Rosencrantz bicefalo, il Monaco, l'Almansi.
Buio. Luci. Lo spettacolo va a cominciare: chi e' la'? who's there?
(Baj nel suo studio tra sagome e manichini)
Et cette ombre d'Hamlet imitant sa posture di Giovanni Raboni
Perché
continuiamo a riscrivere Amleto? - riscriverlo, voglio dire, con parole
o gesti, sagome o suoni, o semplicemente con l'immaginazione. Prima di
azzardare, in margine a questo nuovo saggio di riscrittura multipla che
sara' l'Amleto di Almansi-Baj-Monaco, un'ipotesi di risposta, devo
precisare che quel "continuiamo" e' del tutto retorico. ...
Come dicevano gli esperti: Amleto e' un capolavoro mancato.
E' come una eccessiva massa incandescente. L'eccesso, appunto;
l'eccesso rispetto "ai fatti della tragedia quali appaiono".
Ed è su questo eccesso, su questa gobba deturpante, su questo indecente e assillante
in piu'
di esaltazione e di enigma, su questo ingrossarsi e deviare della linea
dagli assi dell'economicita' e della purezza, che s'e' abbattuta e
continua ad abbattersi la voracità dei
remakers , tutti
lusingati o dannati ad espremere "l'inesprimibile orribile" di cui
parla Eliot, cioe' a scoprire quel che Shakespeare - il quale, non
dimentichiamolo, era Shakespeare- non e' riuscito a scoprire.
Compito smisurato mettere, rimettere, in scena Amleto, fuori portata
per chiunque, ma proprio per questo tanto piu' eccitante - cui, per
nostro tormento e diletto, nemmeno Almansi, Baj e Monaco (ciascuno in
preda a un suo demone personale e insaziabile) hanno potuto sottrarsi.
(Ofelia secondo Baj)
Nella gabbia di Amleto di Brunella Eruli
"Il
torto dell'Occidente", scriveva il pittore Jean Dubuffet nel 1978 per
il programma dello spettacolo "Coucou Bazar", "e' di credere che quanti
piu' ingredienti si mettano, tanto migliore risulti la pietanza".
Per trasformare la storia del folle Amleto principe di Danimarca in
Amleto il lunatico vari uccelli si sono riuniti e hanno intonato un
coro.
Forse è per questo che la tragedia di Amleto il Lunatico è cosi'
diversa dalle molte altre gia' scritte, riscritte, tradotte e tradite.
Questa volta gli autori sono una singolare congrega, formata da un
critico che per l'occasione ha indossato il giustacuore di Shakespeare
e, rimboccando le maniche, ha messo le mani in pasta, con molta ironia;
da un pittore che ha sguinzagliato i mostri e le sagome inquietanti che
popolano il suo universo per accompagnare il principe nel suo fatale
andare; e da un capocomico che con aculei delicati ha pescato parole ed
immagini approdate al suo carrozzone ed ha loro insegnato l'arte di
muovere i corpi e commuovere i cuori.
Cosa mai spinse questi tre artisti ad incontrarsi e a stringere fra di
loro i nodi di un contratto teatrale con il quale ciascuno rinunciava
ad essere padrone assoluto dei propri incantesimi...
Qui non si trattava di recitare Shakespeare, ma di prendere il rischio
di dialogare con lui a più voci, di giocare senza pudori sull'ambiguità
della pagina scritta...
E così, i simpatici pennuti che si sono riuniti in quella gabbia
attorno al principe danese possono intonare un canto di vittoria.
Hanno strappato le cautele, hanno mescolato, triturato, intessuto fischi, gorgheggi e strilli.
Lo spettatore è con loro per questo vero Amleto. Incerto sul dove, sul
quando, sul perche' essere o non essere.
(Copertina del libro catalogo)
La Pulce di Amleto di Guido Almansi
Come difendere quella "polvere indecifrabile che fu Shakespeare"? (la formula, fulminea ma inconclusiva come le migliori formule, e' di Jorge Luis Borges).
Difenderlo dall'oblio, dalla dimenticanza, dal disinteresse, dalla noia.
L'Amleto che esce dalla fucina parodica Baj è tutto di superficie:
occhi che guardano, dita che accusano, mani che abbrancano, bocche che
ghignano.
Un Amleto "di carne", una carne vigile, occhiuta, con sguardi
penetranti e inquisitivi, pupille sbarrate, lampi di ferocia e di odio
tra le palpebre.
A questa lettura mi sono aggiogato da parassita, seguendo i
suggerimenti delle aggressive sagome inventate da Baj, e i consigli del
paziente e attento Monaco che stava al mio fianco e cercava di farmi
evitare gli errori abituali degli scrittori che non hanno esperienza
diretta di palcoscenico.
Ho scritto il mio testo tenendo davanti agli occhi i photocolors dei
mostri di Baj che gridavano a gran voce la loro volonta' che mettessi
loro in bocca un testo selvaggio e stralunato come le loro fattezze.