Di/segni di Glifi di Massimo José Monaco


(cartolina realizzata per la mostra a Barcellona)

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Materia critica


Credo che il lavoro creativo dell'artista segua processi di linee convergenti verso la terminale esplosione dell'idea concetto. Tali esplosioni sono creazioni di mondi e visioni personali dove l'artista da' sviluppo coerente alla confusione di una ricerca perenne. Credo che dentro ogni artista, viva una istintiva e non sempre spiegabile tensione verso possibili sviluppi progettuali; un magma che tende alla forma e al linguaggio, qualunque esso sia.
Per questo motivo, mi diventa naturale accettare che, nei molti stadi della creazione artistica, sia necessaria e spesso inevitabile (e confortante) la mediazione di un ambito disciplinare critico che contestualizzi gli aspetti di tale sviluppo creativo, questo naturalmente senza pretendere l'infallibilità.
Tempo addietro A.B.O., espresse un dilemma da critica patafisica: "La critica serve o sparecchia?". La risposta potrebbe essere altrettanto patafisica: La critica non serve e non sparecchia. La critica apparecchia.
Se culturalmente corretta la critica può essere un perno motore per l'artista.
Ritengo però che l'artista, per non isolarsi nelle torri d'avorio degli incompresi, debba essere in grado di fornire tracce (segni?) del suo percorso senza crearsi limiti. Questo perché i limiti sono una limitazione e poi non dimentichiamo che penna e pennello hanno avuto funzioni simili nel tempo, entrambi tracciano segni, e come artista e' di questi che argomento.


(glifo marciante)


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Segno come enigma


Mi piace il segno enigmatico ed il segno è alla radice della cultura umana.
L'uomo si rappresenta per segni, ha bisogno di segni, sono l'ordine referente nel disordine del vuoto. Penso all'inizio del Libro della Genesi: "Ora la terra era informe e deserta…". La creazione fu il segno. Il glifo è un segno. In una accezione barthesiana, il segno è una forma, un colore espressione..."di una sessualità felice, dolce, sensuale, piena di giubilo…".
Per essere ancora più ampio, voglio anche ricordare una citazione di Kirchner a proposito della sua scrittura pittorica: "...Sono come geroglifici nel senso che questi rappresentano forme naturali in semplici forme bidimensionali e suggeriscono il loro significato all'osservatore".
Una superficie vuota, come ad esempio l'intonsa superficie sabbiosa di una spiaggia, è uno spazio inattivo disponibile al segno; ed ecco una mano che traccia una riga, una curva, un’onda, un’impronta. L'abbiamo fatto tutti.
Con la stessa inconscia intenzione, un giorno (o una notte), sulla parete informe e deserta di una caverna, una mano fece un segno per raffigurare un ordine di pensiero e così passò dal pensiero alla raffigurazione. Quella mano non si è più fermata e la raffigurazione, nel tempo, acquistò una forma, un ordine che la distingueva.
Il segno, ora glifo, iniziò a significare, divenne azione volontaria, processo di pensiero. Questa volontà fu presto asservita a varie funzioni, soprattutto magiche e la magia, a qualche migliaio d’anni da quel giorno (o notte), ancora non s'è persa. Il glifo è un segno arcaico e si collega alla percezione emotiva dell’occhio in rapporto al reale che esso raffigura.
Il glifo è una forza in stasi figurativa che raccoglie le energie espresse dalla realtà' che esso rappresenta. Queste energie sono evocabili tracciando il glifo stesso.
Due esempi: il segno della croce e il pentacolo. La volontà dell'officiante tracciante il segno, il suo essere in sintonia con l’azione in corso, è l'elemento fondamentale e necessario alla riuscita e funzione del glifo. Maggiore è l'allineamento sintonico, maggior forza di penetrazione nella realtà avrà il glifo.
Dunque uno sarà l'altro. La croce è' il Cristo così' come nel pentacolo è già Belfagor.
Eppure il glifo non è il reale, non lo filtra, non lo interpreta e non lo rappresenta. Semplicemente lo segna. “Ceci n’est pas une pipe” (merci Monsieur Magritte).


(Scostumata - quadro glifo )
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Uso del glifo


Il glifo c’era prima di me, c’è oggi e ci sarà dopo. Lascio il dopo a chi verrà. Ma il prima e l’oggi? Per scrivere utilizzo una tastiera da PC, digito su dei segni e questi appaiono sul monitor.
Quella famosa mano, di quel famoso giorno che forse era notte, usò una pietra per segnare i suoi petroglifi su un’altra pietra. Quei segni erano il simulacro della realtà che lo circondava così come i segni della mia tastiera sono il simulacro della mia verbalità fonetica. In senso rituale, raffigurare è quasi possedere e l’azione rappresentata, la caccia, l’uccisione, è un’affermazione, è la conquista dell’essere sul tempo: ho fatto, ho cacciato, ho ucciso, farò, caccerò, ucciderò.
Chiaro e semplice linguaggio esplicativo.
Salto spazio-temporale.


Con i geroglifici in Egitto, il segno, essendo parola degli dei, raggiunse la sacralità e fu certo ed assoluto. La comprensione del segno-parola passava anche attraverso l’interpretazione visiva del significato implicito nel rappresentato dal segno. Segno leggibile ma non dicibile. Lo stesso valeva per gli ideogrammi Maya.


(Petroglifo peruviano)
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Altro salto ed ecco il Mandala, catalizzatore per lo spirito e portale per la mente; l’I-Ching, con la sua parvenza di casualità, laddove il caso è filtrato dal gesto volontario di colui che pone la domanda e che quindi è causa di un accidente controllato.
Infatti, i dadi non si gettano ma sono gettati.
A proposito del caso, ricordo che un certo Alexander Cozens nel 1785, in un manualetto pittorico, codificò una teoria del blotting (macchiare), in cui lo schizzo casuale e gestuale diventava traccia fondante
dell'invenzione pittorica in un processo che partiva dall'informe per assumere una forma. Ma come spiegava Argan: " . ..macchia casuale, però non del tutto percc'erano pure un foglio, dell'inchiostro, una mano con una penna che, intinta, avrebbe lasciato cadere una macchia". Sono d'accordo. Quindi dimentichiamo il caso.
Tornando ai glifi, potrei continuare sull’oggi passando attraverso il graffitismo metropolitano oppure il tatuaggio corporeo. Affermazioni di glifi. Siamo circondati da glifi e la loro presenza, ormai assimilata nell'inconscio collettivo, ha superato la barriera linguistica della lenta verbalita' alfabetica nel segnalarci una realtà definitivamente iconica. Oggi comunichiamo con la semantica rapida ed efficace del logo, simbolo, segnale, pittogramma, marchio.


(Geroglifo egizio)

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La definizione di Adrian Frutiger a proposito dei glifi in quanto simboli esprime in modo chiaro anche il mio pensiero: "...Sono espressioni penetranti ed indimenticabili dei nostri tempi. Tendono al futuro includendo e conservando qualcosa del passato".
I glifi prendono vita dall’ancestrale esigenza umana
del segno come gesto magico. Non casualmente quindi i miei primi dipinti glifici sono stati riferimenti al mito, eros, thanatos e ancora non casualmente vedo nel glifo una profonda unione con gli elementi primari della danza come gesto corporeo e in essa trovo ispirazione.

(Ideoglifo cinese per Longevita')
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Il Codice è la molteplicità

Uso il glifo per segnare pensieri, memorie, vita. Il glifo è un archetipo nel senso junghiano, cosi' esso pur essendo espressione individuale può essere riconoscibile dal collettivo. La sua forma è familiare, rimanda al conosciuto ed è culturalmente integrabile. Fuori da ogni interpretazione estetica, si distanzia dal descritto. Allo stesso modo, per la sua forma neutra, il glifo non suggerisce interpretazioni sul suo essere. La sua riconoscibilità passa attraverso la semplice rappresentazione dell'azione.
E' quella a definirlo. Il glifo è bello ma senza contemplazione estetica, non sviluppa l'autocompiacimento dell’essere o dell’agire, passione o sentimento.
Il glifo non si interpreta ma è interpretato in un concettuale spazio libero d'indagine e si offre all'osservatore senza pre-giudizi rivelatori; in quanto enigma da rivelare propone spazi autonomi di percezione e riflessione.
Al momento ho privilegiato due aspetti del glifo: uno prettamente artistico e libero nella sua anarchia compositiva, l'altro sequenziale e lineare e unito da un codice.
Artisticamente, nella composizione con glifi evidenzio, con il segno del disegno, una figurazione-raffigurazione della rappresentazione. Poi nel disegno ricerco effetti di linea, superficie e materia che ritengo necessari al complemento dell'idea espressa.
In questa idea c'è una forma che il glifo non nasconde, anzi evidenzia e vi rimanda in modo chiaro, una identità centrale che il glifo utilizza per far interagire gli elementi.
E' la figura del corpo organico con il suo godimento e movimento, il suo agire e relazionare. Insomma la sua pulsione, il suo ritmo, il suo essere.
Il corpo è perché vive, esprime e comunica.


(bozzetto)
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Non legitur

Come codice scrittorio, trovo in questi glifi una forte valenza pittografica, importante per la sua somiglianza visiva con la figurazione umana. Ciò nonostante non è un segno ideografico o geroglifico, ma realmente alfabetico e scrittorio. Potrebbe ascriversi a una forma di meta-grafia o di ipergrafia codificata. Ho cercato sviluppare una continuità tra segno grafico e alfabetico per arrivare, come possibile sbocco, a un testo disegno e quindi testo scrittura.
Il glifo puo' quindi definirsi come un segno-carattere, un font; il suo valore è arbitrario (un artificio) ma funzionale alla scrittura, per questo nella sua composizione c'è una codificazione decodificabile e quindi, volendo, leggibile in termini alfabetici (mi domando a questo punto quale potrebbe essere il suono di un glifo).

Il glifo è un sistema alfabetico-pittografico composto da ventisei segni corrispondenti, convenzionalmente all'alfabeto latino. Nella presentazione a "Liquid Words", Yve-Alain Bois dice:
" Perché il linguaggio funzioni, bisogna che i segni siano isolabili gli uni dagli altri (senza di che non potrebbero essere ripetuti). A tutti i livelli il linguaggio ha le sue regole di combinazione e continuità, ma la sua materia prima e' costituita da atomi irriducibili (nella scrittura alfabetica, per esempio, l'unita' distintiva e' la singola lettera)... il linguaggio e' una combinazione gerarchica di parti".
Ciò che caratterizza questo glifo alfabetico, è la struttura base. Essa infatti si compone di soli tre segni elementari,
glifoche moltiplicandosi e componendosi stilizzano una figura umana dalle molteplici movenze danzanti. Da qui nasce l'idea definizione di "alfabeto danzante" di cui naturalmente rivendico l'assoluta paternità.

Come analogia ricordo che nella numerazione Maya, utilizzando tre segni, la conchiglia per lo zero, il punto per l’uno e la barretta per il cinque, si poteva ottenere qualunque numero grazie a un sistema posizionale.
Questo apre la prospettiva verso una creativita' matematica millenaria utilizzando le possibilita' combinatorie di ventisei glifi. Affascinante prospettiva.

- = + (Less is more)


Lo sosteneva l'architetto e designer Mies Van der Rohe e con questa affermazione spiegava l'estetica e l'eleganza dell'essenza architettonica.
Il Glifo nasce per sottrazione e punta all'essenza senza però diventare astratto. Nelle arti, scultura, musica o pittura non si tratta di riprodurre o inventare delle forme, semmai di percepire delle forze. Quindi nessuna arte è realmente figurativa e credo sia anche necessario distanziare la figura dal figurativo.
Citando Klee: " ...non rendere il visibile ma rendere visibile".
La creazione di un glifo in quanto segno, rappresenta l'istante presente e si proietta nel futuro attraverso una intenzione narrativa filtrata nel visibile. Il segno di oggi, con le sue possibili letture e interpretazioni, come sara' letto e interpretato domani?
D’altronde la narrazione ha una sua coerenza strutturale, una linearità costruttiva data da un pensiero che elabora i flussi di quella rappresentazione verbale che e' la scrittura e che molte correnti e Tribu' artistiche del novecento, hanno fatto e continuano a fare propria in pittura.
Credo che lo spazio tra parola scritta e immagine possa contenersi nella scansione infinitesimale di un pensiero e credo che la scrittura con tutti i suoi segni, alfabeti o ideogrammi che siano, sul piano creativo e sul piano teorico, possa offrirsi come fertile luogo di ricerca artistica.
’universale e tutto con una ventina di segni. Einstein ne utilizzò cinque,
einstein
e aprì una porta nell'universo. Mozart con sette creò un universo di musica. Possiamo dire che i segni segnano la strada e che ..."le primitive incisioni sulla roccia, racchiudevano la promessa di un Raffaello o di un Michelangelo"(Inazo Nitobe 1897).

In questo è la forza del segno/glifo.
Per concludere: uso il glifo per dipingere ciò che non scrivo così come scrivo ciò che non dipingo. Questo per non dimenticare che un quadro è un appunto, un pensiero, una riflessione espressa su un quaderno solo occasionalmente di tela.

Come dicevo all’inizio, penna e pennello compagni di storia
.