Tracce cubiste in un naso

(Il teatro di Mangiafuoco visto da Baj)

enrico_baj_pinocchio

Il
naso è tutto
di Enrico Baj

Ho fatto tante bocche, grandi grandi piene di denti e tanti nasi spesso lunghissimi oppure tozzi e occhi, occhi, occhi.
Ho fatto spesso nasi di legno come quelli di Pinocchio; nasi di donne aristocratiche, di generali, di comandanti, commendatori.
Ho fatto personaggi, mostri, bambini buffi, animali fantastici, militari vari, ultracorpi e robot. Mi sono divertito facendo mobili come un falegname o componendo in libertà pezzi di Meccano e di Lego.
Di tutte queste materie e di queste trovate spesso fabulistiche e simboliche, che ci sono pure in Pinocchio, la mia opera è ampiamente intrisa: penso cioè che vi sia una corrispondenza, non già per farne un tentativo di identificazione o di parallelismo, ma piuttosto per ricavarne coincidenze in quell'aura infantile e fantasiosa che sovente mi è cara.
Soggiungo che preferisco aver avuto a che fare con un Pinocchio teatrale piuttosto che da libro e quindi questo lavoro con il Monaco mi ha sorpreso e soddisfatto.
Il naso è tutto: dal naso inspiri l'aria, l'ossigeno; su pel naso gusti odori e profumi, al punto che spesso si puo' desiderare d'essere "tutto naso", per dirla con Caio Valerio Catutllo. Il quale cosi' apostrofa il suo amico Fabullo: " Quando lo odorerai, pregherai gli dei di farti tutto naso!".
E lasciamola lì, senza scivolare giù per il pericoloso declivio morfologico che vorrebbe attribuire al naso misura, peso e la maschietà di altri attributi.


(la civetta)
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Preso per il naso di Massimo José Monaco

La prima azione che viene compiuta sulla scena è proprio quella di prendere per il naso "la virtù'" di Pinocchio, una virtù di tutto rispetto e con una rara capacità fisiologica: modificare il proprio aspetto dimensionale in rapporto al comportamento. Un gioiello indiscreto, per citarla con Diderot, anche se quelli da lui sognati appartenevano all'altro sesso ed avevano il dono della parola.
Per il verso opposto amiamo di gran lunga di più la capacita' occultatrice di UBU a cui Jarry concede il privilegio, ormai comune, di conservare la propria coscienza chiusa a chiave in una valigia "ad usum delphini".
Sfuggendo ad ogni tentazione di analisi, eccoci al momento visivo a cui Pinocchio ha sempre appartenuto fin dalla sua nascita, come dimostrano le centinaia di illustratori...
Ecco quindi la scelta di un mezzo espressivo piatto, piatto appunto come le centinaia di immagini che, negli oltre cento anni di vita, lo hanno raffigurato e trasfigurato. Parlo delle sagome articolate nate con Enrico Baj e trasferite in teatro con l'aiuto di Andrea Rauch, veri e propri elementi pittorici con una propria autonomia artistica; tanto autonomi da essere considerati veri e propri quadri mobili con la capacità di comporsi e ricompomporsi in sequenze visivo/narrative dal forte impatto descrittivo. Dubito che l'arte sia pura invenzione; forse è copia unita all'analisi e alla riflessione (nel senso di pensiero ma anche dell'aggettivo speculare).
Per quanto mi riguarda, negli anni ho compreso il legame che c'è tra i miei progetti/realizzazioni e le passioni: è grazie a queste che trovo i riferimenti e produco i risultati. Nel caso specifico, è cioè il processo di trasformazione della pittura statica in struttura mobile, meccanica, il riferimento è Jean Tinguely, artista che nel tempo ho seguito ed apprezzato.


(la ballerina sul filo)
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Di pajettes, broccati e altre cose... di Andrea Rauch

Billy Wilder, Viale del Tramonto, scena iniziale. Cancello in ferro, viale alberato, curve tornanti, in cima la villa con annessa piscina e Von Stronheim a fare arcigni onori di casa. A Vergiate, via delle Ville, non c'è Von Stronheim nè William Holden cadavere nella piscina. I tacchini in compenso, gonfiano sul prato verde all'inglese e Roberta coglie fichi e uva. Baj lavora sul retro; sul tavolone si ammucchiano patafisicate, libri di e su Jarry, negli scaffali, in ordine diligente, scatole di latta e cartone con materiali di varia umanità: pajettes, specchietti, conchiglie, bottoni, medaglie, nastri, bordi, intarsi, passamanerie, pomelli di legno, pezzi di meccano, dischi di legno colorato. Appoggiati alle pareti ultracorpi luccicanti di pajettes e volti grondanti broccato e acrilici. In fondo, in casse e rotoli, l'Apocalisse.
Baj non vuole un Pinocchio dolce: vuole grandi occhi, grandi bocche, grandi denti, vuole violentare i personaggi, portare all'interno di fantasie tardo-collodiane la sua crudeltà apocalittica... Il pescecane che ingoia Pinocchio è un meccano-mostro alto due metri e venti circa, bocca a ghigliottina, qualche migliaio di viti.
Massimo, che lo ha costruito, lo guarda come si guarda un figlio.